
I PONTI SUI RUSCELLI DELL’INFANZIA
di Ieris Astolfi
Quando due persone sconosciute s’incontrano, è come se si trovassero sulle opposte sponde di un medesimo fiume. Fra loro, fluisce e scorre, inesorabile, il corso dell’acqua o il “percorso della vita”, della loro vita; con un proprio passato a monte (la sorgente o “nascita”) e l’incerto futuro a valle (la foce) nella direzione del mare, ove il fiume s’abbandona trasformandosi in nuova vita (oltre la linea dell’orizzonte, nell’onda di luce infinita). Quelle due persone, inizialmente, stanno una di fronte all’altra e sono come “ciottoli” trasportati e poi depositati, dal flusso delle acque, sulle sponde del fiume; forse hanno “nuotato” accanto, oppure si sono incrociati e sfiorati a monte, ma solo ora che il fiume li ha “posati”, scoprono della reciproca esistenza. A volte è necessario arrestarsi, fermarsi, per comprendere dove siamo o dove andiamo; fosse anche solo per contemplare le stelle poiché, chi cammina in fretta si intorbida, mentre chi sosta può alzare lo sguardo, pensare, sognare e tuffarsi nelle nuvole di ”panna montata”. Ciascuno di noi è “sassolino” posato, al momento giusto, nel fiume della vita; le cui acque, durante la discesa a valle, smussano, modellano i nostri spigoli e levigano le proprie risorse individuali. La sofferenza ci arrotonda, mentre la gioia ci leviga ed ogni tanto ci fermiamo in attesa di ri-energizzarci sulla sponda più consona al nostro stato d’animo. Ritornando alle due persone che s’incontrano sul fiume, quando queste iniziano a comunicare (più con l’animo che con la voce) è come se su quelle acque si ergesse un ponte. Le acque possono essere, più o meno, torbide o limpide: dipende dal proprio angolo di vista che potrà essere speranzoso o sfiduciato, assolato o ombreggiato, aperto o chiuso.
Il ponte è un simbolo ricco di significati: connessione, passaggio, scambio, transfert, riconciliazione, pace, accordo, interculturalità, inclusione, integrazione, crescita, esperienza ecc.
Il ponte potrà essere:
- “ponte d’incontro” = siamo nati per incontraci non per separarci, il ponte d’incontro è metafora di unione, connessione, superamento delle divisioni ecc.
- “ponte ad arco” = l’arco di tutta la vita senza, un ponte di crescita, maturazione, sviluppo, cambiamenti, trasformazioni, dualità armonica, dinamica di gruppo ecc.
- “ponte di passaggio” = ponte che unisce anziché separare, un “sovrapassaggio” di conciliazione anziché passare sopra agli altri, umiliandoli, un ponte di sviluppo anziché fuga (il “viadotto” e i “cavalcavia” del disadattamento e della devianza).
- “ponte levatoio” = quei ponti alzati dalla diffidenza, negligenza, egoismo ecc.
- “ponte in cemento armato” = un ponte “armato” (le uniche armi che approvo!) nella cui struttura portante il cemento sarà armato dal “reciproco rispetto”, affiliazione, transizione, ascolto, assertività, empatia, accoglienza ecc.
- “ponte dei sospiri” = un ponte sul quale le due persone potranno scambiarsi le rispettive potenzialità, riflettere sulla propria vita o attendere un qualcosa che, pur non conoscendo, si rivelerà al momento opportuno; si tratta dei sentimenti come l’affetto, il volersi bene, l’amore o semplicemente il desiderio di parlarsi.
Il fiume osservato da un ponte, ci rimanda al ricordo di ciò che quell’acqua era prima di passare sotto il ponte e, inoltre, ciò che erano quelle persone-sassolini prima di sostare sulle sponde del fiume. Quelle acque e quei sassi erano ”ruscello”, il “ruscello” fresco, pulito e vivace dell’infanzia: con le prime scoperte, i primi ostacoli, le prime luci, le prime ombre, i primi suoni, i primi rumori, i primi profumi, i primi contatti, le prime nuotate “amniotiche”, i primi scontri, i primi concetti moralistici, i primi passi educativi, i primi raggi di quella ruota che è la vita. Nonostante ciò quel “ruscello” lassù, prima di essere fiume, non è del tutto scomparso; oltre un’eventuale patina d’inquinamento” (le “emozioni di plastica”), le particelle di ruscello esistono e resistono ancora, pur non visibili ad occhio nudo. Il bambino che eravamo è ancora vivo in noi e chiede, non tanto di guardarlo quanto piuttosto, di ascoltarlo. È stato proprio quel bambino a suggerire, per via inconscia, il desiderio di fermarsi a costruire un “ponte” con gli altri bambini interiori (“prigionieri” di quella virale edu-castrazione che infetta la cultura omologante). Se ascoltassimo di più il bambino che è in noi, ogni qualvolta incontriamo una persona sconosciuta, tanti “ponti “non” crollerebbero e non resterebbero sospesi sul nulla.
Quel fiume inquinato dai pregiudizi potrà essere “depurato” con l’aiuto del bambino interiore: avvertirne la sua voce è semplice, poiché, basta chiudere gli occhi e aprire il cuore; solo allora il grande bambino abbandonato, per troppo tempo in noi, si riscatterà e non sarà più un”orfano invisibile”. Dobbiamo alimentare la ‘nursery” dove è accudito il bambino che è in noi: basta poco, è sufficiente il riascolto di una canzone la quale sia stata ‘colonna sonora’ nella nostra infanzia (nella propria infanzia). Di notte le acque del fiume possono (se vogliamo
ascoltarle) per incanto cantare il ruscello che un tempo son state.
E allora canta! … canta! ruscello d’incanto.
“La senti quella voce, chi canta è il mio cuore”
(“La prima cosa bella”, Mogol-Nicola Di Bari-G.F. Reverberi, 1970)