
IL TOPINO NICOLINO
(favola con scheda operativa)
Di Ieris Astolfi
“Questo è l’ombelico del mondo
dove si incontrano facce strane di una bellezza un po’ disarmante
[…] facce meticce da razze nuove come il millennio che sta arrivando”
“L’ombelico del mondo”, Jovanotti-Foschi-Centonze-Celani, 1995
C’era una volta, ma non tantissimo tempo fa, un topino tutto rosa di nome NICOLINO. Viveva in una casetta di legno costruita sotto la grande quercia del Parco Pubblico di Modena. La casa era rosa come il naso dei gatti, mentre le porte e le finestre erano viola come la lingua dei cani. I passatempi preferiti dal topino NICOLINO erano: pescare nel laghetto dei PESCI D’APRILE, giocare a calcio nella squadra dell’INTER-PARCO e suonare la chitarra nell’orchestra dei FILA E FONDI.
NICOLINO viveva con tre amici topini: OPPINO, FALPALA’ e LAMPOSTIL.
OPPINO era un topolino d’India color creme caramelle, fuggito dalla gabbietta di un negozio di animali: una volta libero aveva trovato rifugio e conforto nella casa rosa e viola del parco. Dovete sapere che l’hobby preferito da OPPINO era quello di raccogliere e collezionare mozziconi di sigaretta.
La dolce FALPALA’, invece, era una topina proveniente da Cuba e nel parco era giunta dopo aver attraversato l’oceano nascosta nella stiva di una nave carica di rhum. Quando NICOLINO la incontrò rimase così abbagliato dalla bellezza della sua pelliccia color muffa di gorgonzola, che le offrì ospitalità nella propria casetta sotto la grande quercia. FALPALA’ era una brava ballerina di danze latino-americane come la salsa e il cha cha cha.
Per finire LAMPOSTIL, il topino spagnolo dai lunghi baffi arricciati e dalla pelliccia color bombolone al cioccolato. LAMPOSTIL e NICOLINO si conobbero in una galleria d’arte; infatti LAMPOSTIL faceva il pittore ed i suoi topo-ritratti erano famosi in tutto il topo-mondo.
I
Alcuni animali che frequentavano il parco non gradivano la presenza dei quattro topini che vivevano nella casetta rosa e viola. Primo fra tutti, CICISBEO, il gatto arrogante e presuntuoso del proprietario del chiosco. CICISBEO era tutto giallo come la polenta e quando brontolava ruotava la coda come le lancette dell’orologio. Questo gatto si sentiva superiore a tutti e, ancor peggio, non tollerava NICOLINO ed i suoi amici.
–Ve ne dovete andare da questo giardino! -, disse una notte CICISBEO ai topini della casa rosa e viola, –siete la vergogna del parco con le vostre stranezze! – e mentre la coda girava, così concluse: –La vostra è una brigata di delinquenti! -.
NICOLINO non ne poteva più di tutte quelle offese che, in verità, si ripetevano ogni notte allo scadere della mezzanotte. Va bene una volta, anche due, ma ora CICISBEO aveva esagerato e bisognava porre fine a queste ingiurie gratuite.
Il mattino seguente NICOLINO prese la sua inseparabile canna da pesca e si avviò al laghetto per meditare il da farsi. Dopo aver pescato un bel pesce rosso tornò a casa, ma anziché cucinarlo, gli tagliò la pancia e la riempì di sassolini, aghi di pino, spine di rosa, sale e pepe quanto basta. Ricucì poi la pancia del pesce e lo pose sopra una bella foglia verde di cavolo; decorò il tutto con della maionese e prima dello scoccare della mezzanotte posizionò l’invitante spuntino, in bella vista, davanti alla casa rosa e viola.
A mezzanotte in punto passò CICISBEO. Il profumo del pesce fresco fece venire l’acquolina in bocca al gatto giallo. Con un salto, CICISBEO, balzò sull’invitante pesce e cominciò a divorarlo; ma i sassolini che erano nella pancia del pesciolino gli spezzarono un dente, mentre gli aghi di pino e le spine di rosa gli punzecchiarono la lingua. Il superbo CICISBEO rimase così male, ma così male, che la vergogna di essere senza un dente fu per lui tanta al punto di non aprire più bocca da quella notte. Molti animali che frequentavano il parco pensarono fosse diventato muto. In verità parlava ancora, ma solo con gli sconosciuti, ed è importante precisare che la sua superbia e arroganza svanirono a poco a poco. Col topino NICOLINO non divennero amici ma, da quel giorno, iniziarono a rispettarsi a vicenda.
II
Qualche giorno dopo venne il turno di CARLONE, un cane color squacquerone grande e grosso con un cervello, diciamo, non delle stesse dimensioni! CARLONE pensava di essere il padrone del parco e si era messo in testa di costruire una CANINOTECA, cioè un ritrovo per cani, proprio sotto la grande quercia al posto della casetta rosa e viola dei topini.
–Non mi fate paura, brutti e insignificanti topastri-, disse un giorno CARLONE ai quattro amici, – domani, quando tornerò nel parco per la passeggiata, schiaccerò col mio peso la vostra baracca rosa! – e se ne andò abbaiando e offendendo.
Il giorno seguente il topino OPPINO sistemò sul prato venti mozziconi di sigaretta e all’arrivo di CARLONE, con un fiammifferone gigante li accese tutti quanti; NICOLINO, da bravo calciatore, calciò uno per volta i mozziconi fumanti nella direzione del cane, cercando di impaurirlo. FALPALA’, seduta su di un ramo strillò: –Caramba che sorpresa! -. Il piano messo in atto dai topini era quello di circondare CARLONE coi mozziconi di sigaretta fumanti e puzzolenti, in modo da fermarlo e successivamente convincerlo dal non distruggere la loro casa rosa e viola. Ma non fu necessario convincerlo con le parole perché, con le lacrime agli occhi per il bruciore di tutto quel fumo, CARLONE fece uno starnuto così forte, ma così forte, che gli scappò la pipì e la cacca! –Che vergogna– pensarono gli animali del parco riuniti dalla curiosità di tutto quel fumo; lui così grande e grosso dalla paura si era fatto i bisognoni addosso! Era proprio una vergogna troppo grande da sostenere per un cane che si sentiva superiore a tutto e tutti e, nonostante nessun animale lo avesse deriso, da quel giorno CARLONE non mise più zampa nel parco. Si dice in giro che con ogni probabilità partì per le CANARIE.
III
Ogni pomeriggio, una gallinella francese veniva nel parco per farsi ammirare. Si chiamava ROCOCO’ e di professione faceva la OVO-MODELLA. Ogniqualvolta ROCOCO’ passava davanti alla casetta di NICOLINO non mancava di starnazzare contro i quattro topolini.
–Questo è un giardino elegante– diceva –un parco frequentato solo da animali VIP e voi strani topetti siete invece povere bestioline comuni! -.
–E perché mai, dici così? – chiese un giorno NICOLINO, stanco di sentire quei discorsi da gallina.
–Siete … siete … siete troppo sempliciotti e poi non avete eleganza e portamento! – rispose ROCOCO’ mentre nel frattempo si guardava e rimirava nello specchio che i topini avevano appeso alla grande quercia.
–Andatevene via da questo luogo! – continuò la gallinella, –perché solo a vedervi mi viene la pelle d’oca-.
–Chiudi il becco fontina! – rispose NICOLINO.
–Se non ve ne andate, entro domani– starnazzo ROCOCO’, – faro radere al suolo la vostra casa dai miei ammiratori, i GALLI CEDRONI, che si trovano là sulla spiaggetta privata del laghetto a prendere il sole-.
A quel punto la gallina si avviò verso la spiaggia per firmare, o razzolare, qualche autografo.
LAMPOSTIL, che aveva assistito alla scena si avvicinò a NICOLINO e chiese: –Cosa possiamo fare? –
NICOLINO si mise allora gli occhiali da sole, poiché solo così riusciva a riflettere, e dopo cinque minuti, quando li tolse, rispose: –Non preoccuparti LAMPOSTIL, a ROCOCO’ ci penseranno i tuoi pennelli!
Infatti, per tutta la notte LAMPOSTIL dipinse una gallina simile a ROCOCO’, ma in realtà molto più vecchia e bruttarella. La dipinse con le rughe, le borse sotto agli occhi, il doppio gozzo, la cresta scrostata, il becco sbeccato e le piume rade con le doppie punte: insomma, per farla breve, dipinse quello che si suol dire una vera e propria gallina spennata. Una volta terminato il ritratto, LAMPOSTIL mise il suo dipinto al posto dello specchio, che si trovava appeso alla quercia, con l’accortezza di inserire e sostituire il ritratto con lo specchio, utilizzando la stessa cornice dorata. In quello specchio, di solito, la vanitosa ROCOCO’ si fermava ad ammirarsi e compiacersi.
Come previsto dai topini, tre giorni dopo al canto del gallo, la gallina passò dalla grande quercia e non perse l’occasione di avvicinarsi allo specchio come sua consuetudine. ROCOCO’ spalancò gli occhi per lo spavento perché davanti a sé vide riflessa, da quello che lei credeva uno specchio, un’immagine di gallina spennata. ROCOCO’ rimase impietrita e prima di svenire face appena in tempo a dire:
–Aiuto … svengo … portatemi i sali … anzi no! … portatemi alla beauty farm del DOTTOR GALLE’… voglio rifarmi tutta! –
Gli atletici GALLI CEDRONI giunti in soccorso la portarono d’urgenza nella clinica di bellezza per galline, oche giulive e tacchini. ROCOCO’ non tornò più nel parco e si dice in giro che, un mese dopo, fuggì in Egitto sotto le false penne di una faraona!
IV
Le disavventure dei quattro topini non finirono qua. Dovete sapere che anche un altro animale voleva cacciare i topolini dalla loro casa. Si trattava di TUBERTO, il topo bianco DUCA DI TOPINKA, il quale viveva sotto la grande e zampillante fontana centrale del centro storico.
–Voi topi non siete puri, non avete TOPIGREE! – disse un giorno TOBERTO, –Siete di etnia inferiore alla mia e … e poi quella cubana che sta con voi è … è nera! – urlò un giorno TOBERTO.
–Senti formaggino! – rispose NICOLINO, –se non te ne vai, nero sarà il tuo occhio destro dopo un mio pugno sinistro! -.
–Quel TOBERTO ha bisogno di una gentile lezione … – sussurrò FALPALA’ a NICOLINO.
Tre giorni dopo, FALPALA’ si mise il vestito più elegante che aveva, quello azzurro di voile; allungo i baffi col mascarpone, si profumò con due gocce di GRANELLE N°5, si laccò le unghiette con uno smalto color Emmental Svizzero, si spalmò sulla pelliccia un po’ di Caprice de Dieu e, cosi conciata, andò a cercare TOBERTO.
FALPALA’ pareva proprio una TOP-MODEL uscita da una sfilata di LES TOPAINS.
Alla vista di quella topina meravigliosa, TOBERTO rimase incantato e pensò di trovarsi davanti alla PRINCITOPESSA AZZURRA giunta per lui direttamente dalla Reggia di Caserta. FALPALA’ trascinò TOBERTO al centro dell’aiuola di camelie rosse dove l’orchestrina FILA E FONDI, con NICOLINO alla chitarra, era già posizionata per aprire le danze.
Mentre FALPALA’ danzava la macarena, TOBERTO la guardava estasiato e ad un certo punto della messinscena gridò: –Princitopessa, amore mio! … ti … ti … ti amo! … e ti … ti … ti chiedo di diventare mia sposa! -.
A quel punto tutti gli animaletti amici di NICOLINO sbucarono dalle siepi e dai cespugli e tutti in coro esclamarono: –Vergognati TOBERTO! … prima disprezzi FALPALA’ e ora la vuoi sposare!?-.
Solo allora TOBERTO si rese conto che il cuore lo aveva ingannato; quella princi-topessa altro non era che FALPALA’, la topina da lui derisa e offesa tre giorni prima. Preso dalla disperazione per la brutta figura, TOBERTO si ritirò a vita solitaria sulla collina più alta del parco e da lì partì, sei mesi dopo, TOP-SECRET per un paese esotico.
V
Da quel giorno, di non tanto tempo fa, la vita dei quattro topini continuò felicemente e dovete sapere che FALPALA’ e NICOLINO si innamorarono. Dal loro amore nacquero sedici topini, tutti color wurstel. La numerosa famigliola si trasferì in una casa più grande che NICOLINO riuscì a costruire solo dopo aver vinto alla lotteria del GRATTUGIA E VINCI. Se osservate con attenzione quando andate al parco, la potete vedere; si trova nel vialetto che conduce alla palazzina arancione, sotto il centenario glicine. Solo i bambini possono vedere la nuova casetta di NICOLINO e famiglia perché il suo colore è verde speranza, un colore che i grandi fanno fatica a riconoscere.
OPPINO e LAMPOSTIL, invece, continuarono e ancor oggi continuano a vivere d’amore e d’amicizia nella casetta rosa e viola posta sotto la grande quercia del parco pubblico.
“Perché ci sia una terra e ci sia una nazione
formata dai ragazzi e dalla gente
di credo, di colore e di cultura differente …”
“Una tribù che balla”, Jovanotti-Centonze, 1991
Scheda didattica/operativa
La favola de “Il Topino Nicolino” affronta in maniera spiritosa un tema centrale, e di non facile soluzione, proprio dei tempi moderni: la difficoltà di integrazione e comunicazione costruttiva tra le popolazioni con cultura, valori e ideologie differenti. La comunicazione con l’altro diverso da me dovrebbe essere la base per iniziare un processo di conoscenza reciproca, comprensione e confronto. Lo scontro di certo non aiuta se ogni parte si arrocca il potere di essere voce di verità assoluta. In questa favola non sempre c’è buona comunicazione o ascolto reciproco e proprio da questi avvenimenti può essere utile e possibile stimolare i bambini alla riflessione, all’empatia e all’approccio critico al testo. È possibile analizzare il testo nella sua interezza e successivamente riflettere sui singoli personaggi (tutti compresi) in modo da coglierne elementi positivi e negativi (stereotipi, sessismo, pregiudizi ecc.). Inoltre si potrebbe considerare la favola come un testo aperto a differenti finali e alternative, stimolando quella fantasia creativa che ciascun bambino/a possiede al di là di ogni condizionamento. La favola può anche essere metafora di vissuti ed esperienze che i bambini hanno già sperimentato, su loro stessi o su altri, a scuola o fuori dalla scuola; questo consentirà loro di rileggere le proprie esperienze con una nuova ed educativa chiave di lettura poiché, guidandoli, sarà possibile informarli e stimolarli a rielaborare l’esperienza vissuta utilizzando nuovi strumenti utili al loro sviluppo morale. Si potrebbe lavorare anche sull’egocentrismo del bambino/a, egocentrismo che impedisce di sentire l’altro e che porta a centralizzare la propria visione delle cose così come lo stesso Piaget indicava col termine di egocentrismo intellettivo, privo di spirito critico. Il tema dell’intercultura è ampio, tuttavia un semplice racconto come questo, abbinato ad altre letture e affiancato da interventi di riflessione ed elaborazione (anche con test a domande aperte), potrebbe essere uno strumento operativo utile per una propedeutica pedagogica al rispetto dell’altro, all’integrazione e all’inclusione. In questa favola tutti, chi più e chi meno, sbagliano nell’interazione con l’altro e un esercizio empatico nel mettersi nei panni di ciascun protagonista potrebbe essere utile a sviluppare quell’intelligenza emotiva di cui tanto necessita la società di oggi. Un ulteriore progetto lo si potrebbe fare sulla dicotomia e/o dualità tra parole chiave, in modo da ampliare le competenze lessicali e costruire un elenco di parole e verbi inerenti l’inter-cultura; ad esempio come nella lista che segue:
Abbracciare piuttosto che respingere
Aprire piuttosto che chiudere
Ascoltare piuttosto che negare
Comunicare piuttosto che isolare
Confrontarsi piuttosto che scontrarsi
Rispettare piuttosto che tollerare
Includere piuttosto che escludere
Giudizio piuttosto che pregiudizio
Empatia piuttosto che antipatia
Accogliere piuttosto che rifiutare
Conoscere piuttosto che ignorare
Condividere piuttosto che dividere